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DSC05936A fine maggio ho partecipato ad un workshop sulla teoria polivagale condotto dal suo fondatore Stephen W.Porges.

Gli stimoli che mi sono giunti sono molti, proverò a descrivere alcuni aspetti rilevanti per la pratica clinica.

Quali sono i principi della teoria polivagale?

L’evoluzione ha reso il sistema nervoso degli uomini complesso, con strutture cerebrali che regolano i comportamenti sociali e di difesa.

La risposta al comportamento dell’altro è regolata dal sistema nervoso autonomo che può essere attivato da tre diversi circuiti neuronali che si sono evoluti gerarchicamente.

Questi circuiti dipendono dal nervo vago che permette una comunicazione bidirezionale tra il cervello e una serie di organi viscerali, incluso il cuore e l’intestino. Tra tutte le fibre motorie del sistema vagale, approssimatamente solo il 15% sono mielinizzate. La mielinizzazione, una copertura della fibra neuronale, è associata a una più veloce e salda regolazione dei circuiti di controllo neuronale.

L’attivazione di un circuito o l’altro dipende dalla valutazione che il nostro sistema nervoso fa della pericolosità dell’ambiente esterno. I tre circuiti sono:

  1. circuito dell’immobilizzazione: componente più primitiva, corrisponde a morte simulata e blocco all’azione.  Dipende dall’innervatura più antica del nervo vago, non mielinizzata e che origina nel tronco encefalico.
  2. mobilizzazione: comportamenti di attacco-fuga, dipende dal funzionamento del sistema nervaso simpatico che implica aumento del battito cardiaco e maggiore contattilità miocardica.
  3. comunicazione sociale: espressioni facciali, vocalizzazione, ascolto. Dipende dal vago mielinizzato che origina nel nucleo ambiguo del tronco encefalico e che favorisce i comportamenti calmi.

Porges ha coniato il termine neurocezione per indicare l’attivazione dei circuiti neuronali che in modo istintivo ci permette di distinguere se una situazione è sicura o minacciosa per la vita. Anche se non ne abbiamo piena consapevolezza, appena entriamo in contatto con un ambiente nuovo o  con gente estranea, a livello neurofisiologico il nostro corpo  velocemente attribuisce una valutazione di pericolo o sicurezza e inizia una serie di processi neurali che ci inducono verso  comportamenti di attacco, fuga, immobilizzazione o  sociali. Sin da bambini per creare relazioni sociali il nostro sistema nervoso deve valutare il rischio attraverso l’elaborazione delle informazioni che arrivano dall’ambiente e successivamente se il contesto non risulta pericoloso disattivare le reazioni difensive di attacco, fuga o immobilizzazione.

Nei bambini che seguono traiettorie di sviluppo normale, la neurocezione legge il rischio esterno in modo adeguato e il corpo reagisce in modo congruo. Esiste una zona della corteccia, il lobo temporale,  che si attiva nel momento in cui vediamo volti e sentiamo voci familiari. Nel momento in cui questo riconoscimento di sicurezza avviene, la neurocezione disattiva le aree cerebrali che organizzano le strategie difensive attacco-fuga o immobilizzazione e siamo pronti per il contatto sociale, permettendo all’altro di avvicinarsi a noi. Se invece la situazione cambia e diventa rischiosa si attivano i circuiti delle strategie difensive e reagiamo con comportamenti di ritiro o aggressivi.

La presenza di psicopatologia sembra essere caratterizzata da un difettoso funzionamento della neurocezione ovvero può essere presente un’incapacità di inibire i sistemi di difesa in un ambiente sicuro oppure un’incapacità di attivare i meccanismi di difesa in un ambiente rischioso.

Quali sono le possibili applicazioni nella pratica clinica?

La teoria polivagale può darci indicazioni su come noi terapeuti possiamo contribuire a creare un ambiente sicuro durante un colloquio.

Esiste secondo Porges un “codice neuronale dell’amore” che è il risultato della ricerca evolutiva e biologica della sicurezza nella relazione con gli altri. Senza esserne consapevoli comunichiamo con la parte superiore del volto, con il contatto visivo, la prosodia della voce e la postura del corpo segnali di sicurezza o pericolo.

Marcatori di sicurezza possono influenzare la riuscita della terapia perchè non attivano il sistema di difesa del paziente e invece sollecitano l’attivazione e quindi l’esercizio del circuito mielinizzato del nervo vago deputato ai comportamenti sociali. Attraverso il calore e la prosodia della voce, il morbido contatto oculare , l’apertura della postura  e la posizione recettiva e accogliente del terapeuta , il cliente sperimenta un terapeuta calmo e sicuro e si  apre ulteriormente nell’incontro.

La capacità del cervello di sviluppare nuove connessioni neurali che portano a stati emotivi più calmi e più sani è facilitata quando l’ambiente terapeutico è sicuro e dove si coltiva la presenza terapeutica.

La presenza terapeutica è connotata non solo dall’essere pienamente  nel momento con il paziente , ma anche  dall’avere  momento per momento la consapevolezza delle barriere al proprio essere presente e di essere in grado di portare la consapevolezza piena di nuovo al paziente quando queste barriere emergono.

Il nostro lavoro non può essere improvvisato: non solo è necessario uno studio accurato della psicologia e delle psicopatologia, un lavoro personale, un aggiornamento continuo ma anche una consapevolezza piena di come “stiamo” nella stanza con il paziente, cosa ci attiva lui e cosa attiviamo noi. Se stiamo ballando la “danza della sicurezza” insieme al paziente avremo più possibilità di essere d’aiuto nella risoluzione del malessere portato.

Bibliografia

Porges W. (2014) La teoria polivagale. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione.  Giovanni Fioriti Editore

Geller, S.,  Porges W. (2014).  Therapeutic Presence: Neurophysiological Mechanisms Mediating Feeling Safe in Therapeutic Relationships. Journal of Psychotherapy Integration