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Mariacristina Rappazzo

~ Psicoterapia cognitivo comportamentale

Mariacristina Rappazzo

Archivi della categoria: Senza categoria

L’Ansia e il Natale

26 domenica Nov 2017

Posted by mariacristinarappazzo in ansia, Senza categoria

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ansia, festività e ansia, Natale

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Sta arrivando il Natale, pieno di luci e addobbi, pieno di corse per i regali e di preparativi, pieno di emozioni positive e negative. Un periodo che può essere vissuto con euforia e gioia ma anche con ansia o con tristezza, le reazioni sono infatti individuali ed  influenzate dalla storia e dalle caratteristiche della persona e dal contesto nella quale vive.

Soffermiamoci sul perché possiamo provare ansia durante questo periodo e su come poterla gestire.

L’ansia è un’emozione che si presenta ogni volta che la nostra mente avverte un pericolo. Quali pericoli può presentare l’arrivo del Natale? La corsa contro il tempo per pensare ai regali da fare e organizzare gli inviti, difficoltà economiche, incontrare i parenti, confrontarsi con la solitudine, timore di ingrassare a causa dei pasti abbondanti possono essere alcuni campanelli d’allarme che scatenano l’ansia.

Quando ti rendi conto che sei sopraffatta da questa emozione, il passo successivo è fermarti un attimo e cercare di gestirla. Di seguito 5 passi che possono aiutarti:

  • Sperimenta la tua emozione

Osserva ciò che senti, non cercare di sopprimerla o di respingerla, osserva dove nel tuo corpo stai sentendo le sensazioni prodotte dall’ansia e ricorda che non sei la tua emozione, non devi necessariamente agire in base a ciò che ti dice di fare l’ansia.

  • Riconosci la causa

Cerca di individuare quale evento interno o esterno l’ha scatenata, chiediti qual è la minaccia percepita…paura di non fare in tempo a portare a termine gli impegni che prefissati, timore di confrontarti con il giudizio, di non soddisfare le aspettative, di non riuscire ad affrontare una determinata situazione?

  • Controlla i fatti mettendo alla prova i tuoi pensieri

Stai interpretando correttamente la situazione? Ci sono altre possibili interpretazioni? Stai pensando per estremi (pensiero tutto – o – niente, pensiero catastrofico)? Qual è la probabilità che si verifichi il peggio?  Anche se il peggio dovesse accadere, riesci a immaginare di gestirlo con successo?

  • Immagina la situazione nella tua mente ed esattamente cosa potresti fare per gestire in modo efficace la situazione.

Rilassati e prova a immaginare le tue azioni, i tuoi pensieri, quello che dici e il modo in cui lo dici e prova a immaginare di gestire i problemi che potrebbero presentarsi nella situazione temuta.

  • Passa all’azione

Affronta ciò che ti crea ansia, senza evitarlo, se possibile più e più volte e valuta i risultati.

Buon lavoro!

Contento con poco

02 domenica Apr 2017

Posted by mariacristinarappazzo in emozioni, Senza categoria

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burns, emozioni, Mindfulness, pace interiore, stoici

di Robert Burns, 1794

Contento con poco e felice con poco più
Ogni volta che incontro la tristezza e la preoccupazione,
Che stanno scivolando verso di me,
Gli do un ceffone con una buon boccale di birra
E una vecchia canzone scozzese
Spesso sbatto con il gomito contro il Pensiero
Ma l'uomo è un soldato e la vita deve essere combattuta
Il mio sorriso e il mio buon umore sono le mie monete nel borsellino
E la libertà è la mia credenza che nessun monarca
Ha il coraggio di toccare
Dodici mesi di problemi, nel caso in cui la mia fortuna cada
Sono risolti da una notte di buona compagnia
Quando arriveremo alla triste fine del nostro viaggio
Che importanza avrà la strada che abbiamo percorso
La fortuna cieca lasciala traballare e inciampare lungo la strada
Sia addosso a me che lontano da me
Lascia la puttana andar lontano da me
Altrimenti vengano i periodi belli 
Vengano quelli brutti 
Venga il piacer 
Venga il dolore 
Le mie peggiori parole sono "Benvenute e benvenute ancora" 
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I bulli! Chi li dimentica!

08 giovedì Set 2016

Posted by mariacristinarappazzo in Senza categoria, violenza

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effetti bullismo

Chi non ha mai incontrato il bullismo tra le strade della sua vita?  C’è chi l’ha subito direttamente, chi l’ha agito e chi ha assistito silenziosamente oppure partecipando con un sorrisino o con una reazione di difesa a favore della vittima.

Da piccoli si nascondeva dietro un genitore che teneva il muso quando accadeva qualcosa e voleva punirci, aveva la faccia dell’insegnante che ci metteva dietro la lavagna e ci ridicolizzava davanti alla classe e/0 ci diceva “sei un asino”!!!! E aveva le sembianze di un nostro coetaneo, un nostro simile che si sentiva poco simile a noi e apparentemente superiore.  Queste esperienze, memorizzate nelle cellule della nostra mente, continuano a nuocere per anni e anni. Diverse ricerche hanno dimostrato come lascino delle tracce indelebili che sono in grado di influenzare la qualità della vita anche da adulti!

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Una ricerca , pubblicata  nel 2014 nell’American  Journal of Psychiatry (Takizawa et al.,2014) dimostra che gli effetti negativi di atti di bullismo  subiti tra i 7 e gli  11 si ritrovano anche 40 anni dopo.

Questo studio  prende in considerazione i dati raccolti all’interno di una ricerca nazionale britannica di tutti i bambini nati in una settimana del 1958 nel Galles, Scozia e Inghilterra.

Su un totale di 7.771 bambini, era emerso che circa il 28% dei bambini era vittima di bullismo di tanto in tanto e il 15% spesso.  Quindi gli studiosi hanno considerato l’intero campione   seguendolo fino a 50 anni d’età dei partecipanti.

Quello che è emerso a distanza di anni è che gli individui che sono stati vittime di bullismo durante l’infanzia hanno maggiore rischio di depressione, disturbi d’ansia e pensieri suicidi rispetto a chi non ha subito bullismo. Si è notato che i loro livelli di istruzione erano più bassi e gli uomini avevano più probabilità di essere disoccupati e guadagnare di meno. Risultavano compromessi anche i rapporti sociali, il sostegno della rete sociale ed era inferiore il livello di soddisfazione personale della qualità della vita.

Risultati sconcertanti che richiamano tante riflessioni. La prima sugli interventi preventivi, cosa si può fare  affinché non ci siano più bulli nelle scuole e nelle famiglie? Coltivare l’empatia come fanno in Danimarca, con l’ora di empatia a settimana nella programmazione scolastica, potrebbe essere una soluzione.

Un’altra riflessione riguarda l’indagine della vita dell’adulto che arriva a chiedere un aiuto psicologico per un problema attuale: puntare una lente di ingrandimento sull’accertarsi che non ci siano episodi di bullismo alle spalle, voragini di umiliazione e terremoti di autostima potrebbe essere un’utile chiave di lettura che potrebbe favorire il lavoro terapeutico.

Riferimenti bibliografici

  1. R. Takizawa, B. Maughan, L. Arseneault. Adult Health Outcomes of Childhood Bullying Victimization: Evidence From a Five-Decade Longitudinal British Birth Cohort. American Journal of Psychiatry, 2014; DOI:10.1176/appi.ajp.2014.13101401

Un viaggio nella teoria polivagale

02 giovedì Giu 2016

Posted by mariacristinarappazzo in Senza categoria

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porges polivagale

DSC05936A fine maggio ho partecipato ad un workshop sulla teoria polivagale condotto dal suo fondatore Stephen W.Porges.

Gli stimoli che mi sono giunti sono molti, proverò a descrivere alcuni aspetti rilevanti per la pratica clinica.

Quali sono i principi della teoria polivagale?

L’evoluzione ha reso il sistema nervoso degli uomini complesso, con strutture cerebrali che regolano i comportamenti sociali e di difesa.

La risposta al comportamento dell’altro è regolata dal sistema nervoso autonomo che può essere attivato da tre diversi circuiti neuronali che si sono evoluti gerarchicamente.

Questi circuiti dipendono dal nervo vago che permette una comunicazione bidirezionale tra il cervello e una serie di organi viscerali, incluso il cuore e l’intestino. Tra tutte le fibre motorie del sistema vagale, approssimatamente solo il 15% sono mielinizzate. La mielinizzazione, una copertura della fibra neuronale, è associata a una più veloce e salda regolazione dei circuiti di controllo neuronale.

L’attivazione di un circuito o l’altro dipende dalla valutazione che il nostro sistema nervoso fa della pericolosità dell’ambiente esterno. I tre circuiti sono:

  1. circuito dell’immobilizzazione: componente più primitiva, corrisponde a morte simulata e blocco all’azione.  Dipende dall’innervatura più antica del nervo vago, non mielinizzata e che origina nel tronco encefalico.
  2. mobilizzazione: comportamenti di attacco-fuga, dipende dal funzionamento del sistema nervaso simpatico che implica aumento del battito cardiaco e maggiore contattilità miocardica.
  3. comunicazione sociale: espressioni facciali, vocalizzazione, ascolto. Dipende dal vago mielinizzato che origina nel nucleo ambiguo del tronco encefalico e che favorisce i comportamenti calmi.

Porges ha coniato il termine neurocezione per indicare l’attivazione dei circuiti neuronali che in modo istintivo ci permette di distinguere se una situazione è sicura o minacciosa per la vita. Anche se non ne abbiamo piena consapevolezza, appena entriamo in contatto con un ambiente nuovo o  con gente estranea, a livello neurofisiologico il nostro corpo  velocemente attribuisce una valutazione di pericolo o sicurezza e inizia una serie di processi neurali che ci inducono verso  comportamenti di attacco, fuga, immobilizzazione o  sociali. Sin da bambini per creare relazioni sociali il nostro sistema nervoso deve valutare il rischio attraverso l’elaborazione delle informazioni che arrivano dall’ambiente e successivamente se il contesto non risulta pericoloso disattivare le reazioni difensive di attacco, fuga o immobilizzazione.

Nei bambini che seguono traiettorie di sviluppo normale, la neurocezione legge il rischio esterno in modo adeguato e il corpo reagisce in modo congruo. Esiste una zona della corteccia, il lobo temporale,  che si attiva nel momento in cui vediamo volti e sentiamo voci familiari. Nel momento in cui questo riconoscimento di sicurezza avviene, la neurocezione disattiva le aree cerebrali che organizzano le strategie difensive attacco-fuga o immobilizzazione e siamo pronti per il contatto sociale, permettendo all’altro di avvicinarsi a noi. Se invece la situazione cambia e diventa rischiosa si attivano i circuiti delle strategie difensive e reagiamo con comportamenti di ritiro o aggressivi.

La presenza di psicopatologia sembra essere caratterizzata da un difettoso funzionamento della neurocezione ovvero può essere presente un’incapacità di inibire i sistemi di difesa in un ambiente sicuro oppure un’incapacità di attivare i meccanismi di difesa in un ambiente rischioso.

Quali sono le possibili applicazioni nella pratica clinica?

La teoria polivagale può darci indicazioni su come noi terapeuti possiamo contribuire a creare un ambiente sicuro durante un colloquio.

Esiste secondo Porges un “codice neuronale dell’amore” che è il risultato della ricerca evolutiva e biologica della sicurezza nella relazione con gli altri. Senza esserne consapevoli comunichiamo con la parte superiore del volto, con il contatto visivo, la prosodia della voce e la postura del corpo segnali di sicurezza o pericolo.

Marcatori di sicurezza possono influenzare la riuscita della terapia perchè non attivano il sistema di difesa del paziente e invece sollecitano l’attivazione e quindi l’esercizio del circuito mielinizzato del nervo vago deputato ai comportamenti sociali. Attraverso il calore e la prosodia della voce, il morbido contatto oculare , l’apertura della postura  e la posizione recettiva e accogliente del terapeuta , il cliente sperimenta un terapeuta calmo e sicuro e si  apre ulteriormente nell’incontro.

La capacità del cervello di sviluppare nuove connessioni neurali che portano a stati emotivi più calmi e più sani è facilitata quando l’ambiente terapeutico è sicuro e dove si coltiva la presenza terapeutica.

La presenza terapeutica è connotata non solo dall’essere pienamente  nel momento con il paziente , ma anche  dall’avere  momento per momento la consapevolezza delle barriere al proprio essere presente e di essere in grado di portare la consapevolezza piena di nuovo al paziente quando queste barriere emergono.

Il nostro lavoro non può essere improvvisato: non solo è necessario uno studio accurato della psicologia e delle psicopatologia, un lavoro personale, un aggiornamento continuo ma anche una consapevolezza piena di come “stiamo” nella stanza con il paziente, cosa ci attiva lui e cosa attiviamo noi. Se stiamo ballando la “danza della sicurezza” insieme al paziente avremo più possibilità di essere d’aiuto nella risoluzione del malessere portato.

Bibliografia

Porges W. (2014) La teoria polivagale. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione.  Giovanni Fioriti Editore

Geller, S.,  Porges W. (2014).  Therapeutic Presence: Neurophysiological Mechanisms Mediating Feeling Safe in Therapeutic Relationships. Journal of Psychotherapy Integration

 

 

 

disturbo borderline-cosa fare

11 venerdì Mar 2016

Posted by mariacristinarappazzo in Senza categoria

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parte 3 ###

I sintomi del Disturbo Borderline di Personalità (BPD) di solito si presentano nell’adolescenza e nella prima età adulta. Tale disturbo è caratterizzato da instabilità emotiva, reazioni estreme, senso distorto di sé,sentimenti cronici di vuoto,autolesionismo, pensieri suicidari o tentativi di suicidio. In un articolo sulla rivista BuzzFeed (http://www.buzzfeed.com/ariannarebolini/things-people-with-bpd-want-you#.rwk8dVKOmp)vengono riportate 23 cose da sapere sul disturbo che sono tratte dall’esperienza di 6 persone che sono affette da BPD. Di seguito altre importanti informazioni, che completano quelle già in precedenza descritte.

17.  Alcune forme di terapia funzionano meglio di altre, così come alcuni terapeuti

“Anche se per certe persone funziona benissimo, per me la terapia cognitivo comportamentale non è efficace. Mi è più utile  la DBT (terapia dialettica comportamentale),  che mi ha aiutato ad acquisire abilità  per affrontare le mie difficoltà.  Attraverso la DBT si lavora sulla consapevolezza.  E’ un percorso intenso, che dura almeno un anno e che prevede un lavoro individuale e degli incontri di gruppo. Il terapeuta è come un allenatore.  Se inizio a disregolarmi, a perdere il controllo e sto per fare qualcosa di stupido- tipo tagliarmi, bere o aggredire- posso chiamarlo e mi aiuta a calmarmi. Lui non risponde  con rabbia, o ti ignora, come fanno  gli altri  rendendo le cose peggiori. Attraverso la DBT  si può rimodellare il cervello – e se si pratica, pratica, pratica ogni giorno, si diventerà bravi a farlo. Puoi cambiare il tuo comportamento e il  tuo pensiero.  Con me funziona”-RC

18. Trovare terapeuti che attuano il trattamento DBT non è molto facile 

19. Così che molte persone che scoprono l’esistenza di questo trattamento a volte si comprano i libri per studiarlo da soli.

20. Fattori decisivi nel miglioramento  sono l’amore, il sostegno e rassicurazione .
“Le persone con disturbo borderline vogliono e hanno bisogno di essere amati , ma il loro comportamento può spingere  le persone lontano dalla loro vita .  A volte finiscono da soli , spaventati e di conseguenza non possono più avere voglia di continuare. Quello di cui hanno bisogno è il supporto e l’empatia “ -SF

21. Se non parliamo di disturbo borderline di personalità non possiamo romperne lo stigma e quindi non aiutiamo chi ne soffre a chiedere aiuto

22. Questioni di visibilità

“Voglio stare meglio e sto percorrendo tutti i passi che mi porteranno verso la guarigione,che ho visto accadere in altre persone . E  aver visto  gli altri che stanno meglio,mi fa sperare che forse potrebbe accadere per me . ” -Eh

23. Le persone con BPD sono più forti di quanto pensihappiness.jpeg

” Le mie estreme reazioni emotive sono così radicate nel mio cervello che io non posso impedirmi di esperirle , posso però  gestirle . Vivere con BPD è un  duro lavoro e chi riesce a rimanere in vita di fronte a un dolore così intenso è un eroe ” -AS

disturbo borderline -cose da sapere

21 domenica Feb 2016

Posted by mariacristinarappazzo in disturbo di personalità, Senza categoria

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parte 2##

(http://www.buzzfeed.com/ariannarebolini/things-people-with-bpd-want-you#.rwk8dVKOmp)

10. Quello che può migliorare la condizione della persona con DPB (disturbo di personalità borderline) è il lavoro con uno psicoterapeuta che conosce come trattare il disturbo.

” Alla fine ho migliorato la mia condizione attraverso la relazione con uno psicoterapeuta che mi ha aiutato con competenza e compassione. Questo rapporto ha permesso che io comprendessi il DPB e il suo ruolo nella mia vita” – MHF

11.  Spesso  le persone con DPB  presentano anche altri disturbi – come abuso di sostanze, depressione, ansia e disturbi alimentari.
“Il Disturbo Borderline è davvero legato al mio disturbo alimentare e sono trattati contemporaneamente. Limitare  e perdere il controllo sono modi che io uso per gestire queste forti emozioni che io provo e che ho difficoltà a regolare. Mi sento come se  io non potessi essere felice e neanche essere triste ma solo potessi essere insensibile, ed i comportamenti che ho usato per raggiungere questo   non sono sicuramente stati salutari.”-Eh

12. Il  DPB  può rendere davvero difficile mantenere i rapporti
” Il BPD ha un enorme impatto sui miei rapporti personali. Poiché io sono così emotivamente sensibile, posso spesso reagire in modo eccessivo a cose che fanno o dicono gli amici o la famiglia comportandomi in modo inefficace per me e  e l’altra persona. Questo rende per me difficile  mantenere le amicizie “. -Andrea Shawl-
“La vera essenza della DPB è che ha un impatto diretto sulla vostra capacità di comunicare, e mantenere rapporti con le persone più vicine a voi. Si può stabilire  un rapporto intenso e  senza preavviso allontanarli il più lontano possibile. Questo ciclo si ripete più e più volte perché, fino al momento in cui non inizi il trattamento, ti manca la capacità di mantenere relazioni in modo funzionale. A fonte di ciò, DPB provoca una grande paura dell’abbandono, pensi – ‘! Ti odio, non mi lasciare’, “-SF

13. Ma può anche rendere i legami affettivi forti
“Ho avuto il privilegio di trascorrere la maggior parte degli ultimi dieci anni creando relazioni  a lungo termine con persone  che ho amato ferocemente e che in passato mi hanno amato  altrettanto ferocemente. Il DPB prevede una più intensa esperienza emotiva, che, in termini delle mie relazioni sentimentali, è stata più un dono che una maledizione”-. MHF

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14.  La fiducia è estremamente importante

“Una cosa che mi aiuta è la relazione solida con mio marito. Egli è estremamente supportivo – Mi fido di lui al 100% quindi non si verificano  con lui gli stessi problemi di rapporto che creo con gli altri “-Andrea Shaw-
“Nel mio caso, il DPB deriva da traumi infantili – l’abuso e l’incuria che ho avuto da mio padre. Mi è stata lasciata da questa esperienza una sensazione  di essere inutile e amabile, con grandi problemi di fiducia. Vivo nel costante timore di essere respinta dalle persone che amo  e faccio sforzi frenetici per prevenirlo. “-Marra Yates

15. . Così come la  validazione
“Per molti anni, fin da quando avevo circa 12, i miei genitori pensavano che stavo solo cercando di attirare l’attenzione con i miei comportamenti – autolesionismo, crisi di pianto, sintomi depressivi. Non credevano che avevo un problema, così per molto tempo non hanno sostenuto il mio trattamento e non volevano pagare per il mio trattamento. E ‘stato davvero difficile; Mi sono sentito veramente invalidato per un lungo periodo di tempo. “-Eh

16. E la pazienza
“Ho la fortuna di avere una relazione con una persona paziente, che capirà quando sto reagendo in modo eccessivo  e come prendermi per farmi calmare. Per me, l’annullamento di un appuntamento a cena può anche essere devastante. E  se vedo il mio migliore amico trascorrere del tempo con il suo collega credo che io sono sola e non amata. Non posso fare a meno di questa modalità, ma io  cerco di fare del mio meglio per non lasciare  che il DPB  mi impedisca di vivere una vita normale e di formare  relazioni sane. “-MY

19 domenica Apr 2015

Posted by mariacristinarappazzo in Senza categoria

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Cosa succede quando l’accudimento è inverso ed è il bambino a prendersi cura della madre?

03 venerdì Apr 2015

Posted by mariacristinarappazzo in Senza categoria

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accudimento inverso

Il punto di vista del bambino

Vittime di violenza assistita- VAI

02 lunedì Mar 2015

Posted by mariacristinarappazzo in Senza categoria

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VAI, violenza

Cos’è?
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È un fenomeno molto diffuso ma ancora poco conosciuto, che riguarda i minori e produce effetti traumatici pari in intensità a quelli prodotti da violenze dirette.
Secondo il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia (CISMAI) per violenza assistita da minori in ambito familiare s’intende:
“fare esperienza di qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica (percosse con mani od oggetti, impedire di mangiare, bere e dormire, segregare in casa o chiudere fuori casa, impedire l’assistenza e le cure in caso di malattia, ecc.)violenza verbale, psicologica (svalutare, insultare, isolare dalle relazioni parentali ed amicali, minacciare di picchiare, di abbandonare, di uccidere, di suicidarsi ecc.)violenza sessuale (stuprare ed abusare sessualmente)e violenza economica (impedire di lavorare, sfruttare economicamente, impedire l’accesso alle risorse economiche, far indebitare, ecc.)compiuta su figure di riferimento o su altre figure significative, adulte o minori;s’includono le violenze messe in atto da minori su altri minori o su altri membri della famiglia e gli abbandoni ed i maltrattamenti ai danni di animali domestici”.
Di tale violenza il minore può fare esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza) e/o percependone gli effetti.
In questa definizione si tiene conto del fatto che non solo vedere la violenza, sentire il rumore delle percosse, della rottura degli oggetti, le grida, gli insulti e le minacce, i pianti ha un impatto doloroso, confondente e spaventoso sui bambini; lo ha anche sapere che determinate cose avvengono, constatarne gli effetti vedendo oggetti distrutti, venire a contatto o a conoscenza degli effetti fisici della violenza sul proprio familiare. Ma doloroso e pauroso è anche percepire la disperazione, l’angoscia e lo stato di terrore delle vittime dirette.

Secondo i dati Istat del 2006 sono state 690 mila in Italia le donne che hanno subito violenze ripetute da partner e avevano figli al momento della violenza. Il 62,4% ha dichiarato che i figli hanno assistito ad uno o più episodi di violenza. Nel 19,6% dei casi i figli vi hanno assistito raramente, nel 20,2% a volte, nel 22,6% spesso. Le donne che hanno subito violenza ripetutamente dal partner e avevano figli hanno anche dichiarato che nel 15,7% dei casi i figli hanno subito violenza dal padre: raramente, nel 5,6%, a volte nel 4,9%, spesso nel 5,2%.
Quali sono gli INDICATORI?
In caso di violenza assistita alcune aree di sviluppo appaiono compromesse:
-legame di attaccamento
-adattamento e competenze sociali
-comportamento
-abilità cognitive e problem solving
-apprendimento scolastico
Inoltre possono essere riscontrati i seguenti sintomi:
-depressione
-ansia
-inquietudine
-colpa
-bassa autostima
-aggressività
-crudeltà verso gli animali
-tendenza all’atto
-immaturità
-ipermaturità
-difficoltà nel comportamento alimentare
-alterazioni del ritmo sonno-veglia
-incubi ed enuresi notturna
-scarse abilità motorie
-comportamenti auto lesivi
-incubi ed enuresi notturna
-scarse abilità motorie
-comportamenti autolesivi
-uso di alcool
-più alta incidenza di allergie, infezioni del tratto respiratorio, cefalea, disturbi
-gastrointestinali, disturbi del sonno.

Quali sono le CONSEGUENZE della VAI?
I bambini esposti a violenza domestica provano paura, terrore, confusione, impotenza e rabbia e vedono le figure di attaccamento da un lato terrorizzate e disperate, dall’altro pericolose e minacciose; questi bambini provano la pena di esistere poco perché non visti nella propria sofferenza dai genitori. I partner ed i genitori maltrattanti negano infatti il maltrattamento e non riconoscono la sofferenza dei figli generata dalla violenza: molte madri picchiate, quando sono interrogate sulla possibile percezione che di tutto questo possono avere i figli, rispondono che i bambini dormono in un’altra stanza o che comunque dormono o non sono presenti o non sentono o non capiscono; nei bambini testimoni di violenze può essere presente il senso di colpa per il fatto di sentirsi privilegiati quando non vittimizzati direttamente, nello stesso tempo possono percepirsi come responsabili della violenza perché cattivi e sentirsi impotenti a modificare la situazione con conseguenti problemi appunto di depressione, ansia, vergogna, disperazione; i piccoli possono sviluppare comportamenti adultizzati d’accudimento verso uno o entrambi i genitori ed i fratelli e diventare protettori mettendo in atto a tal fine numerose strategie come andare a controllare chi suona alla porta o rispondere al telefono per filtrare le telefonate del maltrattante, assumendo comportamenti compiacenti e dire bugie ma anche imparare a dar ragione all’uno o all’altro genitore a seconda delle circostanze o in base al fatto di stare in quel momento con l’uno piuttosto che con l’altro.
Le vittime di violenza assistita apprendono che l’uso della violenza è normale nelle relazioni affettive (esse possono essere incoraggiate o costrette ad insultare o picchiare la madre ed i fratelli) e che l’espressione di pensieri, sentimenti, emozioni è pericolosa in quanto può scatenare violenza;
Si rileva con frequenza che, dopo la separazione dei genitori, nei figli, specie se adolescenti, aumentano i comportamenti violenti verso madre e fratelli, mettendosi in atto una sorta di sostituzione del padre a causa dell’apprendimento di modelli relazionali distorti e dello sviluppo di disturbi a livello emotivo e comportamentale; in alcune ricerche si rileva una più alta incidenza negli adolescenti di comportamenti devianti e delinquenziali: la violenza assistita è considerata una delle cause delle fughe da casa, del bullismo, della violenza nei rapporti sentimentali tra adolescenti e dei comportamenti suicidiari. L’educazione affettiva di questi minori in generale è impregnata di stereotipi di genere, connotati da svalutazione della figura materna e da disprezzo verso le donne o verso le persone viste come più deboli ma anche verso gli uomini che a tali stereotipi sembrano non adeguarsi.

Il dolore in oncologia pediatrica

28 sabato Feb 2015

Posted by mariacristinarappazzo in Senza categoria

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dolore, oncologia pediatrica

L’International Association for the Study of Pain (1979) definisce il Dolore come un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale in atto o potenziale. Tale definizione mette in luce la complessità del concetto “Dolore”, risultato di meccanismi biologici e neurali influenzati dalle caratteristiche psicologiche dell’individuo, dalla cultura di appartenenza e nel caso dei bambini anche dalla reazione dei genitori.
Nell’iter di cura del bambino con neoplasia l’esperienza del dolore è quasi sempre presente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (1998) riporta che circa il 70% dei bambini soffre in modo severo durante il percorso di cura a causa del progredire della malattia o delle tecniche di trattamento e diagnostiche altamente invasive, complicando ancora di più il vissuto psicologico del bambino e dei famigliari.
Il rischio è che se non si interviene in modo adeguato nel controllo del dolore, sia dal punto di vista medico che psicologico, si generi un circolo vizioso di sfiducia tra il bambino, la famiglia e lo staff medico che va ad inficiare la compliance al trattamento. I bambini, impauriti dal dolore, probabilmente svilupperanno sfiducia verso gli ospedali e lo staff medico, potrebbero sentirsi irritati, ansiosi o depressi per l’impossibilità di controllare i sintomi dolorosi e diventare refrattari ad esprimere ciò che provano e a seguire le cure. Anche i genitori si potrebbero sentire afflitti per la loro impotenza di fronte al dolore del figlio, innervosendosi eventualmente con lo staff medico e trasmettendo il loro malessere e la loro diffidenza al bambino. Lo staff medico dall’altra parte potrebbe sviluppare sentimenti di colpa o ancora peggio diniego verso la sofferenza dei bambini.
La sensibilizzazione a questa tematica diventa quindi fondamentale per migliorare la Qualità di Vita del bambino “paziente” e di tutti coloro che gli stanno vicini, con interventi integrati che richiedono collaborazione tra medici, psicologi e infermieri.
Esistono “Le Linee Guida per la Cura del Dolore nei Bambini Malati di Cancro” redatte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1998, che demitizzano le paure sui farmaci oppioidi come la morfina e indicano un approccio corretto allo staff medico e alle famiglie suggerendo interventi prettamente farmacologici accompagnati da quelli psico-educazionali.
Per approfondire l’argomento è consigliato leggere il testo “Elementi di Psico-oncologia Pediatrica” a cura di V.Axia (2004) Carocci Faberdolore_pediatrico

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