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Chi non ha mai incontrato il bullismo tra le strade della sua vita?  C’è chi l’ha subito direttamente, chi l’ha agito e chi ha assistito silenziosamente oppure partecipando con un sorrisino o con una reazione di difesa a favore della vittima.

Da piccoli si nascondeva dietro un genitore che teneva il muso quando accadeva qualcosa e voleva punirci, aveva la faccia dell’insegnante che ci metteva dietro la lavagna e ci ridicolizzava davanti alla classe e/0 ci diceva “sei un asino”!!!! E aveva le sembianze di un nostro coetaneo, un nostro simile che si sentiva poco simile a noi e apparentemente superiore.  Queste esperienze, memorizzate nelle cellule della nostra mente, continuano a nuocere per anni e anni. Diverse ricerche hanno dimostrato come lascino delle tracce indelebili che sono in grado di influenzare la qualità della vita anche da adulti!

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Una ricerca , pubblicata  nel 2014 nell’American  Journal of Psychiatry (Takizawa et al.,2014) dimostra che gli effetti negativi di atti di bullismo  subiti tra i 7 e gli  11 si ritrovano anche 40 anni dopo.

Questo studio  prende in considerazione i dati raccolti all’interno di una ricerca nazionale britannica di tutti i bambini nati in una settimana del 1958 nel Galles, Scozia e Inghilterra.

Su un totale di 7.771 bambini, era emerso che circa il 28% dei bambini era vittima di bullismo di tanto in tanto e il 15% spesso.  Quindi gli studiosi hanno considerato l’intero campione   seguendolo fino a 50 anni d’età dei partecipanti.

Quello che è emerso a distanza di anni è che gli individui che sono stati vittime di bullismo durante l’infanzia hanno maggiore rischio di depressione, disturbi d’ansia e pensieri suicidi rispetto a chi non ha subito bullismo. Si è notato che i loro livelli di istruzione erano più bassi e gli uomini avevano più probabilità di essere disoccupati e guadagnare di meno. Risultavano compromessi anche i rapporti sociali, il sostegno della rete sociale ed era inferiore il livello di soddisfazione personale della qualità della vita.

Risultati sconcertanti che richiamano tante riflessioni. La prima sugli interventi preventivi, cosa si può fare  affinché non ci siano più bulli nelle scuole e nelle famiglie? Coltivare l’empatia come fanno in Danimarca, con l’ora di empatia a settimana nella programmazione scolastica, potrebbe essere una soluzione.

Un’altra riflessione riguarda l’indagine della vita dell’adulto che arriva a chiedere un aiuto psicologico per un problema attuale: puntare una lente di ingrandimento sull’accertarsi che non ci siano episodi di bullismo alle spalle, voragini di umiliazione e terremoti di autostima potrebbe essere un’utile chiave di lettura che potrebbe favorire il lavoro terapeutico.

Riferimenti bibliografici

  1. R. Takizawa, B. Maughan, L. Arseneault. Adult Health Outcomes of Childhood Bullying Victimization: Evidence From a Five-Decade Longitudinal British Birth Cohort. American Journal of Psychiatry, 2014; DOI:10.1176/appi.ajp.2014.13101401